Figure minime attraversano superfici chiare, come corpi sospesi in uno spazio senza coordinate. Pesci dorati, ossidati o scuriti emergono da trame pazientemente incise, da campiture di segni ripetuti che evocano correnti, argini, fondali o mappe astratte.
In questa serie, l’acqua non è mai rappresentata direttamente: è suggerita dall’assenza, dal ritmo, dalla stratificazione. I pesci — isolati, in gruppo, in verticale o in fuga — diventano presenze migranti, simboli di un movimento forzato, di un attraversamento silenzioso.
Le superfici, lavorate come tessuti o muri erosi, raccontano una memoria lenta, fatta di attese e di passaggi. Ogni opera è una soglia: tra pieno e vuoto, tra stasi e deriva, tra ciò che resta e ciò che deve andare via.
Profughi d’acqua è una riflessione sulla fragilità dei percorsi, sulla persistenza del gesto e sulla possibilità di abitare il cambiamento senza mai fermarsi davvero.
PROFUGHI D’ACQUA
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